domenica 6 dicembre 2015

Fu, in principio, l'anno zero.

Il template del mio primo blog me lo ero fatto io, studiando da autodidatta i rudimenti dell’HTML. Un apprendistato che oggi mi rivendo benissimo ogni qualvolta si debba preparare la newsletter aziendale.

Non  esistevano i social né i selfie, solo qualcuna più troietta delle altre si faceva gli autoscatti per Badoo.  Stilavo frivole wishlist piene zeppe di azzurrini e di jeans a zampa in un mondo di lilla, pantaloni skinny e commesse che quasi mi ridevano in faccia in negozio [stolte, la storia mi ha dato ragione. Orsù, datemi retta signore, compratevi le Cortez].

Se mi capitava di rimanere alzata la sera a scrivere, i miei genitori si allarmavano pensandomi vittima d’ogni sedicente cybermaniaco.

Al blog avevo affidato le ansie della maturità prima, le incertezze su quale università scegliere poi.  Testimoniava il lungo snocciolarsi di esami, paure, successi fino all’happy ending  della mia prima laurea, quando avevo ancora i capelli lunghi e un tubino in tinta con la tesi,  bordeaux (perché ancora non si diceva burgudy).

Poi eccomi a questa domenica di dicembre, con la nebbia che incalza alle finestre e il bagaglio di quello che sono diventata.  

Perché  riaprire un blog? Di cosa potrei scrivere?

Non ho ricette da inventare, sarei in grado al massimo di suggerire i tempi di cottura per non far bruciare i petti di pollo o la zucca al forno. Vesto normale, con la canotta della salute da giugno a settembre e il gambaletto, perché vado a lavorare in bici e non ce la faccio ad affrontare lo spiffero alla caviglia.

Oggi ho Instagram, su un cellulare che fa foto di merda.
Oggi la letteratura è rimasta un substrato latente che s’indovina nella pila di libri accumulati sul comodino tra un ritorno a casa e una partenza, nell’ostinazione di voler infilare il Conte di Montecristo nella borsa a mano.

Fateci caso, quante cose amiamo,  che già sono nel limbo della perdita. Quando il tempo consuma e delle connessioni  rimane una lacrima di ragnatela.
Allora, capiamo. Le passioni diventano amori e gli amori diventano parte di noi.
Allora, cementifichiamo i mattoni del nostro essere.  

Scrivo perché sono io, sono io perché scrivo, ed ho bisogno di ricordarmelo nella mia esistenza arruffata.